Concentrazione versus fissazione centrale: il grande equivoco.
L'intuizione fondamentale dell'intera ricerca compiuta in campo oftalmologico
dal dr. Bates è costituita, senza dubbio, dal principio della fissazione
centrale. Questo concetto, in base al quale nella globalità del campo visivo
solo una ridottissima area, delle dimensioni di un punto, può essere vista al
meglio, racchiude l'essenza della perfetta funzionalità dell'occhio ed è
imprescindibile per qualsiasi proficuo percorso di recupero visivo.
Rinviando agli altri interventi specifici dedicati all'approfondimento di tale
argomento, appare utile un'analisi comparativa tra la fissazione centrale e una
seconda e diversa nozione, oggetto di particolare interesse critico da parte del
dr. Bates, e che egli stesso riconosce ed indica nella concentrazione.
Troviamo menzione specifica di quest'ultima in un breve paragrafo inserito
nell'articolo "Buttate gli occhiali" pubblicato nel 1923 sulla rivista Hearst"s
International. I toni con cui il dr. Bates affronta detta materia suonano
categorici ed inequivocabili: "Si può dimostrare che tutte le persone con vista
imperfetta stanno tentando di concentrarsi. Ho più volte pubblicato e descritto
i dati che evidenziano, in modo decisivo, che la concentrazione degli occhi è
impossibile. Cercare di compiere l'impossibile è uno sforzo, uno sforzo
spaventoso, il peggiore che l'occhio possa sperimentare".L'identica fermezza
assertiva viene espressa dall'autore nello stigmatizzare conseguentemente
proprio i teorizzatori della concentrazione e nell'additare in essi i
responsabili di una parte consistente degli erronei atteggiamenti mentali che
sono all'origine dei difetti visivi.
Se procediamo ad una verifica delle premesse individuate all'epoca dal dr.
Bates, non è assolutamente arduo riscontrarle, con la medesima ed evidente
autenticità, anche nel tempo attuale.
Tuttora l'intensa e prolungata applicazione indotta della mente su un unico
argomento costituisce uno tra i principali, se non addirittura il principale
presupposto dell'approccio didattico sotteso ad una qualsiasi disciplina.
Copiosa è la manualistica in commercio che, ora come allora, con taglio
divulgativo ed immediatezza propagandistica, esorta ad apprendere e praticare le
strategie della concentrazione per migliorare e perfezionare, lungo una
traiettoria di successo, le proprie prestazioni intellettuali, artistiche,
sportive o di altra natura.
A titolo esemplificativo, abbiamo campionato una fra le molteplici pubblicazioni
di questo tenore: "Concentration! How to focus for success" di Sam Horn.
L'ammaestramento contenuto in essa si sviluppa a partire da cinque definizioni
che riteniamo opportuno elencare brevemente, accompagnandole con un sintetico
commento, per stabilire una relazione concludente tra la concentrazione e
l'esercizio della funzione visiva.
1. La prima proposizione afferma che "la concentrazione è la disciplina che
permette di focalizzarsi su un lavoro stabilito ignorando gli avvenimenti
esterni irrilevanti". Da essa consegue la necessità per il singolo di una forma
di educazione autoimposta e diretta all'esclusione, dalla percezione cosciente,
di qualsiasi stimolo diverso dell'attività in cui egli si trova impegnato.
2. La locuzione successiva, per la quale "la concentrazione è interesse in
azione", rende primario il coinvolgimento personale ed attivo del soggetto
nell'occupazione a cui sta dedicandosi.
3. La terza definizione parla di "concentrazione come potere di dare alla mente
un ordine e di farla obbedire", evidenziando l'intervento condizionante e
volitivo dell'individuo sui propri meccanismi mentali.
4. Proseguendo, si legge che "la concentrazione è avere il coraggio d'imporre al
tempo, alle persone e agli avvenimenti la propria decisione su cosa è importante
e deve venire al primo posto". Analogamente a quanto osservato in riferimento
alla frase precedente, l'accento è posto sulla capacità di dominio da parte di
ognuno, non più e non solo sulla propria mente, ma anche sulla realtà in cui si
è immersi, in stretto parallelismo con la prima definizione esaminata.
5. Da ultimo, la concentrazione è qualificata come "tenacia mentale", dando
rilievo pregnante alla saldezza e alla perseveranza della mente nello
svolgimento di un compito.
In ben quattro delle precedenti enunciazioni, l'esigenza di un'ingerenza
diretta e specifica del singolo sulla propria attività cognitivo-produttiva è in
evidente antitesi con il funzionamento ottimale di mente e vista, così come
descritto dal dr. Bates. Certamente non costituisce un caso l'aver prescelto,
per il nostro sito, la citazione che ci è apparsa più esaurientemente espressiva
del suo pensiero; essa ribadisce con efficacia che "è naturale per l'occhio
vedere come per la mente apprendere e ogni sforzo diretto in tal senso, oltre
che inutile, è controproducente".
Al contrario, la concentrazione, così come descritta e canonizzata poco più
sopra, mina alla base e praticamente stravolge l'assunto batesiano. L'unica
valida eccezione è ravvisabile nella sfera semantica racchiusa dalla seconda
delle definizioni sopracitate, quella che riconduce la concentrazione al
semplice e ben più immediato "interesse in azione". In questo caso, si delinea
una situazione di coinvolgimento spontaneo e complessivo della persona in
relazione a ciò che essa sta compiendo. Una condizione precisata, meglio ancora,
in ambito Zen, come l'oblio del sè nell'atto di unirsi a qualcos'altro.
Soprattutto, in questa prospettiva, viene a recuperarsi la naturale purezza
istintiva dell'agire, dell'apprendere e del rielaborare. A riguardo, una
bellissima e pertinente descrizione è contenuta nel libro "Usate i vostri occhi"
di William MacCracken, un oftalmologo seguace dell'approccio riabilitativo del
dr. Bates. Egli considera infatti con quale meticolosità e quanto a lungo avesse
praticato, in prima persona e senza esiti incoraggianti, la lettura della
Snellen, fino a quando l'abbandono totale del sentimento di sè era subentrato in
lui, conferendo nuova efficacia al suo impegno. Da quel momento, aveva potuto
verificare empiricamente che solo il partecipe e non forzoso assorbimento in
un'occupazione è in grado di assicurare la perdita della propria
autoconsapevolezza, indispensabile al corretto funzionamento dei processi
mentali e, per estensione, all'ottimizzazione del sistema visivo nel suo
complesso.
Se dunque, in riferimento al termine concentrazione, è stato possibile
individuare un'accezione condivisibile fra le varie proposte, è indispensabile
precisare che, nel manualetto al nostro esame, questo "interesse in azione",
cioè questa attività svolta senza sforzo, viene immediatamente ostracizzata come
"il tipo di concentrazione al quale NON bisogna applicarsi, in quanto essa è il
risultato naturale del coinvolgimento in un'occupazione che piace" (!).
Pertanto, in maniera incomprensibile, nel caso di un individuo scarsamente o per
nulla interessato ad una determinata incombenza, non si ritiene essenziale
stimolarne la partecipazione attiva e motivata, ma si preferisce convincerlo a
pilotare la propria attenzione su quell'unico obiettivo, attraverso un
discutibile controllo volontario dei meccanismi intellettivi e la forzata
esclusione degli agenti disturbanti.
Possiamo quindi comprendere e motivare la veemenza accorata con cui il dr. Bates
si dichiarava pervaso da piacere immenso nel pareggiare i conti con i
propugnatori della concentrazione, stabilendo una relazione diretta e perniciosa
fra costoro e numerosi casi di malfunzionamento dell'apparato visivo.
Approfondire le modalità con le quali, nel corso di una lunga carriera medica,
egli sia stato capace di consentire ai suoi pazienti, adulti e in particolare
bambini, il conseguimento e il mantenimento della naturale distensione, che
permette a mente e vista di operare al meglio, costituisce un argomento di
interesse e vastità tali da essere meritevole di una trattazione separata.
In particolare, però, questa appare la sede idonea per osservare che la radicata
consuetudine alla concentrazione, sedimentata negli anni per effetto di taluni
discutibili metodi pedagogici, può interferire negativamente, pregiudicandolo,
con l'allenamento alla fissazione centrale. Nella pratica clinica, il dr. Bates
ebbe modo di verificare che l'invito a sperimentare direttamente la migliore
percezione del punto direttamente guardato induceva, per lo più, il soggetto a
dirigere con sforzo la propria attenzione su detto punto, nell'inutile, quanto
dannoso, tentativo di costringere verso esso la mente e gli occhi.
Con il tratto intuitivo e pratico che gli era proprio, il dr. Bates, per mezzo
di una semplice inversione dei parametri considerati, ricorse all'espediente di
esortare il paziente a distogliere il pensiero dal punto verso il quale lo
sguardo veniva indirizzato e a notare, al contrario, quanto apparisse indistinto
tutto ciò che non era specificamente osservato. Incredibilmente, se il soggetto
si accontentava di vedere la maggior parte di ciò che veniva percepito nel
proprio campo visivo in maniera peggiore, le dimensioni dell'area vista al
meglio si andavano riducendo, con l'effetto paradossale del miglioramento
generale della visione.
Il trattamento applicato dal dr. Bates fa chiarezza di ogni possibile equivoco:
la fissazione centrale costituisce la corretta modalità di svolgimento
dell'attività visiva e non implica, in alcun caso, la repressione o l'esclusione
della visione periferica mediante la concentrazione sul punto di perfetta acuità
visiva. Solo l'equilibrata interazione tra la visione centrale e quella
periferica, ottenuta, quasi sempre, lavorando su quest'ultima, può garantire la
massima resa del meccanismo sensorio da rieducare.
Il recupero della funzionalità visiva è purtroppo invariabilmente inibito da
deleterie abitudini, rafforzate da ancor più deleteri convincimenti. Lo
scardinamento delle prime, attraverso la correzione di questi ultimi,
costituisce la più alta manifestazione della genialità del Nostro oculista.
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