Better Eyesight - Aprile 1930 - N. 10





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Traduzione realizzata in esclusiva per www.metodobates.altervista.org

IL DONDOLIO OTTIMALE

Il dondolio che, a seconda delle diverse situazioni, produce i risultati migliori è considerato ottimale.

La maggior parte dei lettori di questa rivista e di “Vista perfetta senza occhiali” conosce il dondolio. Esso può essere spontaneo quando, per fare un esempio pratico, si ricorda, o si vede perfettamente una lettera e, senza dirigersi volontariamente a una sua parte, si è in grado di immaginarne ininterrottamente il dondolio lento, corto e agevole. La velocità è pressappoco quella di un conteggio orale.

L’ampiezza del dondolio non è superiore a quella della lettera ed esso viene ricordato, o immaginato, altrettanto facilmente di quanto è possibile immaginare qualsiasi altra cosa, senza sforzarsi in alcun modo. L’oscillazione naturale della vista normale procura il maggior grado di rilassamento e andrebbe immaginata. Quando il soggetto vi riesce, essa rappresenta, nelle condizioni propizie, il dondolio ottimale.

Di solito le persone miopi percepiscono questo dondolio, normalmente considerato ottimale, al punto prossimo, quando la vista è perfetta. In lontananza, poichè la vista è imperfetta, consideriamo ottimale un differente dondolio. Esso non è spontaneo, ma deve essere provocato da un movimento consapevole, da parte a parte, degli occhi e della testa e, di regola, è maggiore dell’ampiezza della lettera, più rapido del normale dondolio e non si percepisce così facilmente.

Quando si è colpiti da emicrania, da un dolore a livello oculare o in qualsiasi altra parte del corpo, il dondolio ottimale è sempre più ampio e più difficile da immaginare rispetto ai momenti in cui lo sforzo degli occhi è minore. In condizioni avverse, il dondolio lungo è quello ottimale, ma in condizioni favorevoli, quando la vista è buona, la normale oscillazione dell’occhio con vista normale costituisce il dondolio ottimale. Il dondolio lungo, praticato correttamente, induce un grado di sollievo tale da consentire di ridurne l’ampiezza, fino a raggiungere quella della naturale oscillazione dell’occhio normale.

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VISTA ED ISTRUZIONE

del dott. W.H. Bates

Si riconosce che una delle cause principali di ritardo nell’apprendimento scolastico è la riduzione delle capacità visive. Ad essa si calcola che possa ragionevolmente farsi risalire la responsabilità di una quarta parte dei casi di abituale perdita di terreno nella preparazione e comunemente si ritiene che tutto ciò possa essere evitato con l’uso di occhiali adeguati.

Comunque, la vista difettosa implica effetti molto più complessi della semplice incapacità di leggere alla lavagna o di utilizzare gli occhi senza dolore o disagio. La vista imperfetta è la conseguenza di una condizione anormale della mente e, quando la mente versa in tale stato di alterazione, è ovvio che nessun metodo di insegnamento possa essere adottato proficuamente. In alcuni casi, affibbiando gli occhiali ad un bambino, possiamo neutralizzare le conseguenze che questa situazione produce sugli occhi e, ponendo il paziente in una condizione di agio maggiore, arriviamo, in un certo senso, a migliorare le sue facoltà mentali, ma, in sostanza, non riusciamo a sanare la condizione della sua mente e, cronicizzandola in una cattiva abitudine, la aggraviamo.

Si può agevolmente dimostrare che, quando la vista è indebolita, tra le facoltà mentali menomate vi è la memoria. Poiché una parte considerevole del processo di apprendimento consiste nell’immagazzinare dati nella mente e tutti gli altri processi mentali si basano sulla conoscenza di fatti, è facile comprendere quanto poco si ottenga dal semplice prescrivere occhiali ad un bambino che ha “problemi agli occhi”. Le straordinarie doti mnemoniche delle popolazioni primitive sono state spiegate con la circostanza che, in mancanza di strumenti idonei alla redazione di testimonianze scritte, essi dovessero fare affidamento esclusivamente sulla loro memoria, che ne risultava conseguentemente rafforzata, ma, alla luce delle scoperte sulla relazione tra memoria e vista, è più lecito supporre che le ferree capacità di memorizzare dell’uomo primitivo derivassero dalla stessa causa della sua vista acuta, cioè dalla mente a riposo.

Esempi di memoria primitiva, come di primitiva acutezza visiva, sono presenti anche nelle popolazioni civilizzate e, se fossero state condotte ricerche adeguate, senza dubbio si sarebbe verificato che le due facoltà procedono di pari passo, come in un caso che ho osservato di recente. Il soggetto era un bimba di dieci anni con una vista così portentosa da consentirle di vedere i satelliti di Giove ad occhio nudo, come dimostrato dalla raffigurazione che ne fece in un disegno, precisamente corrispondente allo schema realizzato dalle persone che si erano servite di un telescopio. La sua memoria era ugualmente considerevole. Dopo aver letto un libro, era capace di recitarne tutto il contenuto, come si dice facesse Lord Macauley, e, in pochi giorni, senza insegnante, apprese più Latino di quello che la sorella, con sei diottrie di miopia, aveva imparato in diversi anni. Dopo cinque anni, ricordava ciò che aveva mangiato al ristorante, il nome della cameriera, il numero civico e la strada in cui si trovava il locale. Ricordava anche il suo abbigliamento in quella circostanza e i vestiti indossati da tutti gli altri partecipanti al ricevimento. Aveva medesima memoria di ogni altro episodio che avesse destato in qualche modo il suo interesse, al punto che uno dei passatempi più divertenti dei suoi familiari era interrogarla sul menu o sugli indumenti indossati, in determinante occasioni, dai presenti.

Se due persone hanno una diversa acutezza visiva, si è scoperto che le loro rispettive capacità mnemoniche differiscono esattamente nella identica proporzione. Due sorelle, una delle quali aveva una vista buona, completamente nella norma, indicata con la frazione 20/20, mentre l’altra aveva 20/10, si accorsero che il tempo loro necessario a memorizzare otto versi di una poesia differiva quasi nella stessa misura della loro vista. Quella dal visus di 20/10 imparò gli otto versi in quindici minuti, mentre l’altra dal visus di soli 20/20, impiegò, per svolgere il medesimo compito, trentuno minuti. Dopo aver eseguito il palming, la sorella con la vista ordinaria, imparò otto nuovi versi in ventuno minuti, mentre l’altra riuscì ad accorciare i suoi tempi di due soli minuti, chiaramente una riduzione ricompresa nei margini di variabilità. In altre parole, quest’ultima, avendo una mente in condizione già normale o quasi normale, non riuscì, per mezzo del palming, a migliorarla in modo rilevante, mentre la prima, la cui mente era sotto sforzo, fu in grado, con questi mezzi, di raggiungere il rilassamento e di migliorare quindi la propria memoria.

Quando tra i due occhi di una persona c'è una diversa acuità visiva, è stata riscontrata una corrispondente variazione nella memoria, a seconda che entrambi gli occhi siano mantenuti aperti oppure venga chiuso il migliore tra i due. Un paziente con vista normale all’occhio destro e con capacità visiva dimezzata al sinistro, guardando la tabella di Snellen con entrambi gli occhi aperti, riusciva a ricordare un punto continuativamente per venti secondi, ma, se chiudeva l’occhio migliore, riusciva a ricordarlo per dieci soli secondi. Un paziente con vista dimezzata all’occhio destro e pari ad un quarto della norma all’occhio sinistro, con entrambi gli occhi aperti, riusciva a ricordare un punto per dodici secondi e solo per sei secondi, quando chiudeva l’occhio con cui vedeva meglio. Un terzo paziente, con vista normale all’occhio destro e un decimo della norma al sinistro, riusciva a ricordare un punto per dodici secondi con entrambi gli occhi aperti e per due secondi chiudendo l’occhio migliore. In altre parole, se l’occhio destro ha maggiore acutezza visiva del sinistro, quando il primo è aperto la memoria è migliore di quando è aperto solo il più debole.

L’attuale sistema educativo si basa sullo sforzo continuo di costringere i bambini a ricordare. Questi tentativi inevitabilmente falliscono. Essi rovinano sia la memoria che la vista. La memoria non può essere forzata più di quanto possa esserlo la vista. Noi ricordiamo senza sforzo, proprio come vediamo senza sforzo e più cerchiamo di ricordare o di vedere e meno siamo in grado di farlo. Le cose che ricordiamo sono quelle che ci interessano e il motivo per il quale i bambini incontrano difficoltà a imparare le loro lezioni è perché ne sono annoiati. Per la stessa ragione, fra le altre, la loro vista si indebolisce, essendo la noia una condizione di sforzo mentale, nella quale è impossibile che l’occhio funzioni normalmente.

Alcuni fra i vari stimoli attualmente impiegati nel sistema educativo possono riuscire a risvegliare l’interesse. Per esempio, il desiderio di Betty Smith di vincere un premio, o semplicemente di superare Johnny Jones, può avere l’effetto di accendere il suo interesse verso quelle lezioni che, per il passato, l’avevano annoiata e questo interesse può evolvere in una autentica motivazione all’apprendimento, mentre questo non può dirsi delle varie sollecitazioni, fondate sul timore, tuttora ampiamente adoperate dagli insegnanti. Esse, al contrario, hanno di solito l’effetto di paralizzare completamente le menti, già intorpidite dalla mancanza di interesse, e l’effetto sulla vista è analogamente disastroso.

In sintesi, la ragione fondamentale, sia della scarsa memoria che della vista scarsa nei bambini, è il nostro sistema educativo, irrazionale e contro natura. La Montessori ci ha insegnato che i bambini possono imparare solo quando sono interessati. E’ parimenti vero che, solo quando sono interessati, riescono a vedere. Questo dato di fatto fu dimostrato in maniera sorprendente nel caso di una delle due coppie di sorelle precedentemente menzionate. Phebe, dalla vista acuta, che riusciva a ripetere il contenuto di interi libri qualora suscitassero il suo interesse, detestava del tutto la matematica e l’anatomia e non solo non riusciva a studiarle, ma, quando le venivano spiegate, diventava miope. Ella era in grado di leggere lettere poco illuminate, di dimensioni pari a un quarto di pollice (mm 6), alla distanza di venti piedi (mt 6), ma se le si chiedeva di guardare, in piena luce, illustrazioni di dimensioni comprese tra uno e due pollici (cm 2,5-5), situate a dieci piedi (mt 3) di distanza, ne riconosceva solo una su due. Quando le venne chiesto quanto faceva 2 più 3, ella rispose “4”, prima di risolversi definitivamente per “5” e, durante tutto il tempo in cui fu occupata con questo argomento sgradevole, il retinoscopio rivelò che era diventata miope. Quando le chiesi di osservare il mio occhio con l'oftalmoscopio, non riuscì a vedere praticamente nulla, sebbene per cogliere i particolari all’interno di esso sia necessario un grado di acutezza visivo molto inferiore a quello necessario ad individuare i satelliti di Giove.

La sorella miope, invece, era appassionata di matematica e di anatomia e primeggiava in queste materie. Imparò ad utilizzare l'oftalmoscopio on la stessa facilità con cui Phebe aveva appreso il Latino. Quasi al primo approccio, individuò il nervo ottico, osservando che il centro appariva più bianco della parte periferica. Vide le linee dalla tinta più tenue, le arterie, e quelle più scure, le vene, e notò le striature chiare sui vasi sanguigni. Perfino alcuni specialisti non sono in grado di farlo e assolutamente nessuno può riuscirvi, se non con una vista normale. Perciò, mentre Isabel adoperava l'oftalmoscopio, la sua vista doveva essersi temporaneamente normalizzata. Guardando delle figure, la sua vista, sebbene debole, era migliore di quando si rivolgeva invece alle lettere.

In entrambi i casi citati, la capacità di apprendimento e quella visiva procedevano di pari passo con l’interesse. Phebe riusciva sia a leggere una riduzione fotografica della Bibbia e a recitarne il contenuto che a vedere i satelliti di Giove, riproducendone poi in un disegno le loro rispettive posizioni, in quanto era interessata a questi argomenti, ma non era in grado di esaminare l’interno dell’occhio, né di vedere i numeri, con la metà dell’abilità con la quale vedeva le lettere, perché queste materie l’annoiavano. Comunque, quando le venne suggerito che sarebbe stato un bello scherzo sorprendere i suoi insegnanti, che la rimproveravano sempre per la sua svogliatezza in matematica, meritando un punteggio alto alla successiva interrogazione, il suo interesse nella materia si risvegliò e fu capace di recuperare quanto necessario ad ottenere un bel voto. Isabel, invece, non simpatizzava con le lettere. La maggior parte delle materie con cui esse avevano a che fare non la interessava e, perciò, rimaneva indietro ed era divenuta stabilmente miope. Quando, però, le si chiedeva di guardare qualcosa che suscitava il suo vivo interesse, la sua vista tornava normale.

In sintesi, quando non si è interessati, la mente non è sotto controllo e, senza controllo mentale, non si può apprendere né vedere. Quando la vista diventa normale, non solo la memoria, ma tutte le altre facoltà mentali progrediscono. E’ comunemente verificabile che pazienti curati per problemi di vista, si accorgono che anche la loro capacità lavorativa è migliorata.

Un’insegnante, la cui lettera è stata pubblicata in uno dei primi numeri di “Better Eyesight”, testimoniò che, dopo aver ottenuto una vista perfetta, “sapeva meglio come arrivare alle menti degli allievi” in modo “più diretto, più preciso, meno dispersivo, meno vago”, ella, infatti, aveva raggiunto la “fissazione centrale della mente”. In un’altra lettera scrisse: “Migliorando la mia vista, aumenta la mia ambizione. Nei giorni di vista migliore, ho il massimo desiderio di darmi da fare”.

Un’altra insegnante riferì che uno dei suoi allievi se ne stava tutto il giorno seduto senza far nulla e, in apparenza, non si interessava a niente. A seguito dell’introduzione in classe della tabella di controllo e del miglioramento della sua vista, fu preso dall’ansia di imparare, diventando, in breve tempo, uno degli studenti migliori di quella classe. In altre parole, i suoi occhi e la sua mente si normalizzarono all’unisono.

Un contabile quasi settantenne che aveva indossato gli occhiali per quarant’anni, dopo aver recuperato una vista perfetta senza occhiali, constatò di riuscire a lavorare più celermente, con maggiore precisione e minore fatica, di quanto gli fosse mai capitato in vita sua. Nei periodi più intensi, o quando aveva meno collaboratori a disposizione, per alcune settimane, aveva lavorato ininterrottamente dalle sette del mattino alle undici di sera, asserendo di sentirsi meno stanco la notte di quanto lo era stato al mattino quando aveva cominciato. In precedenza, sebbene riuscisse a svolgere un numero di compiti maggiore rispetto a tutti gli altri colleghi dell’ufficio, si era sempre affaticato moltissimo. Egli osservò anche un miglioramento nel suo umore. Avendo svolto a lungo lo stesso lavoro e avendo molta più esperienza degli altri impiegati, riceveva frequenti richieste di consiglio. Prima che la sua vista si normalizzasse, queste interruzioni lo disturbavano molto e spesso gli facevano perdere la pazienza. In seguito, ad ogni modo, non ne fu più irritato. Nel caso di un altro paziente, la cui storia è riportata di seguito, quando la vista divenne normale, scomparvero anche taluni sintomi di follia.

Da questa casistica, si deduce che i problemi della vista sono collegati ai problemi dell’apprendimento molto più strettamente di quanto si possa supporre e che non possono in alcun modo risolversi piazzando lenti concave, convesse o astigmatiche davanti agli occhi dei bambini.

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LA VICENDA DEL DOTTORE

Uno dei casi più impressionanti sulla relazione fra mente e vista di cui mi sia mai occupato, fu quello di un medico i cui problemi mentali, un tempo gravi al punto da indurlo a ritenere che avrebbe potuto ammattire, furono guariti completamente quando la sua vista divenne normale. Costui era stato visitato da numerosi specialisti dell’occhio e del sistema nervoso prima di giungere da me chiedendo un consulto, non in quanto riponesse fiducia nei miei metodi, ma sol perché gli sembrava non ci potesse essere niente altro da fare. Portò con sé una vera e propria collezione di occhiali, prescrittigli dalle diverse persone, fra i quali non ve n’erano due che fossero uguali. Mi disse di aver indossato ognuno di essi per parecchi mesi consecutivi, senza alcun beneficio, e poi di averli lasciati perdere, senza apparenti peggioramenti. Nemmeno la vita all’aria aperta gli aveva giovato. Su consiglio di illustri neurologi, aveva sospeso per un paio di anni la sua attività, trasferendosi in un ranch, ma nemmeno questa parentesi aveva sortito effetti positivi.

Controllai i suoi occhi, ma non riscontrai alterazioni organiche o errori di rifrazione. Eppure la vista in entrambi era ridotta di un quarto rispetto a quella normale ed egli soffriva di sdoppiamento e di ogni sorta di sintomi spiacevoli. Gli capitava di vedere le persone capovolte oppure dei diavoletti danzanti in cima ad alti edifici. Era perseguitato da illusioni così disparate, da non potersi elencare in queste poche pagine. Di notte la sua vista peggiorava al punto che gli era difficile ritrovare la strada e, quando percorreva tragitti extraurbani, aveva l’impressione di vedere meglio rivolgendo gli occhi ad una delle estremità laterali e guardando la carreggiata con la parte esterna della retina, invece che con il centro di essa. Con ciclicità irregolare, senza alcun preavviso o perdita di coscienza, aveva periodi di assoluta cecità. Ciò rappresentava una grande pena per lui, poiché la sua attività di chirurgo era ben affermata e remunerativa ed egli era terrorizzato dall’evenienza di un attacco nel corso di un intervento.

La sua memoria era molto debole. Non riusciva a ricordare il colore degli occhi di nessuno dei suoi familiari, sebbene da anni li vedesse quotidianamente. Né riusciva a ricordare il colore della sua casa, il numero delle stanze sui diversi piani o altri particolari. Ricordava con difficoltà, o per nulla, i volti e i nomi di amici e pazienti.

Fu davvero complicato sottoporlo al trattamento, soprattutto perché si era radicato in un’infinità di false convinzioni sulla fisiologia ottica in generale e sul suo caso in particolare, pretendendo di discuterne e, mentre si impegnava in queste disquisizioni, non otteneva alcun beneficio. Per un lungo periodo, ogni giorno, discusse e argomentò per ore intere. Non ho mai conosciuto una persona dalla logica così affascinante: così ineccepibile all’apparenza, eppure così assolutamente errata.

Aveva una fissazione eccentrica talmente accentuata che, quando guardava un punto spostato di quarantacinque gradi a lato della grande C sulla tabella di Snellen, vedeva la lettera di un nero altrettanto intenso di quando la guardava direttamente. Fare ciò richiedeva uno sforzo terribile e la produzione di un notevole astigmatismo, ma il paziente ne era inconsapevole e non credeva vi fosse alcunché di anormale in tale sintomo. Poiché comunque vedeva la lettera, sosteneva che fosse naturale che apparisse nera come essa era in realtà, in quanto egli non soffriva di cecità ai colori. Finalmente, distogliendo lo sguardo dalle lettere più piccole della tabella, riuscì a vederle peggio di quando le guardava direttamente. Ci vollero otto o nove mesi per pervenire a questo risultato, ma, quando lo realizzò, il paziente ammise che gli sembrava che la sua mente si fosse alleggerita di un grosso peso. Sperimentò un fantastico senso di riposo e rilassamento attraverso tutto il proprio corpo.

Quando gli venne chiesto di ricordare il nero con gli occhi chiusi e coperti, disse che non vi riusciva e che vedeva tutti i colori tranne il nero, che normalmente si dovrebbe vedere quando il nervo ottico non è stimolato dalla luce. Ad ogni modo, ai tempi del college, egli era stato un accanito giocatore di football e si accorse di poter ricordare un pallone nero. Gli chiesi di immaginare che questo pallone fosse stato lanciato nel mare e che venisse trasportato al largo dalla corrente, diventando progressivamente più piccolo, ma non meno nero. Fu in grado di farlo e lo sforzo fu trascinato via con il pallone, fin quando, nel momento in cui quest’ultimo si ridusse alle dimensioni di un punto su un giornale, lo sforzo si dileguò del tutto. Il sollievo durò fin quando ricordò il punto nero, ma poiché non vi riuscì permanentemente, gli suggerii un altro metodo per ottenere un sollievo definitivo. Esso consistette nel peggiorare deliberatamente la propria vista, intento contro il quale egli si oppose enfaticamente.

“Santo cielo!” esclamò “La mia vista non è già rovinata abbastanza senza aggravarla ulteriormente?”

Comunque, dopo una settimana di polemiche, acconsentì a provare questo metodo e il risultato fu molto soddisfacente. Dopo che ebbe imparato a vedere due o più lampade, dove non ce n’era che una, sforzandosi di guardare un punto al di sopra di essa, mentre al tempo stesso cercava di vedere la fonte luminosa altrettanto bene come quando vi rivolgeva lo sguardo, riuscì ad evitare lo sforzo inconsapevole che aveva prodotto lo sdoppiamento o il moltiplicarsi di ciò che vedeva e non fu più infastidito da queste immagini superflue. Con sistemi analoghi vennero evitate altre illusioni.

Una delle ultime credenze ad essere fugata fu il suo convincimento che per ricordare il nero fosse necessario uno sforzo. A riguardo, la sua logica era schiacciante, ma, dopo molte dimostrazioni, si persuase che non occorreva sforzarsi e, quando se ne accorse, immediatamente sia la sua vista che il suo stato mentale migliorarono.

Finalmente riuscì a leggere con visus di 20/10 e anche più e, sebbene avesse superato i cinquantacinque anni d'età, lesse perfino i caratteri diamond, a distanze comprese tra i sei e i ventiquattro pollici (cm 15-60). La sua visione notturna migliorò, i suoi attacchi di cecità diurna ebbero termine e finalmente ricordò il colore degli occhi di sua moglie e dei suoi bambini. Un giorno mi disse:
“Dottore, la ringrazio di quello che ha fatto alla mia vista, ma non ci sono parole per esprimere la gratitudine che provo per ciò che ha fatto alla mia mente”.

Alcuni anni più tardi mi ricontattò, con l’animo colmo di riconoscenza, non avendo avuto più alcuna ricaduta.

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MENTIRE PROVOCA MIOPIA

Posso rivendicare di aver scoperto che dire bugie è dannoso per gli occhi. Qualunque sia il rapporto tra questa circostanza e la maggior parte dei difetti visivi, si può dimostrare facilmente che è impossibile affermare il falso, anche non deliberatamente, e perfino solo immaginarlo, senza che si produca un errore di rifrazione.

Se un paziente riesce a leggere tutte le piccole lettere dell’ultima riga della tabella di controllo e, intenzionalmente o per distrazione, pronuncia una di esse con il nome sbagliato, il retinoscopio rivelerà la presenza di un errore di rifrazione. Più volte è stato chiesto ai pazienti di dichiarare una età diversa dalla propria, o di cercare di immaginare di avere un anno in più o in meno, in tutti i casi, quando costoro lo facevano, il retinoscopio indicava un errore di rifrazione. Un paziente venticinquenne, privo di difetti visivi, quando guardava una parete vuota senza cercare di vedere, se solo sosteneva di avere ventisei anni o se glielo diceva qualcun altro oppure se provava semplicemente ad immaginarselo, diventava miope. La stessa cosa succedeva nel momento in cui affermava, o cercava di immaginare, di averne ventiquattro. Quando diceva, o ricordava la verità, la sua vista era normale, ma, quando dichiarava o pensava il falso, la vista ne risentiva.

Due ragazzine, entrambe mie pazienti, un giorno si presentarono insieme e la prima accusò l’altra di averla costretta a fermarsi a prendere un ice-cream soda, come invece, per la sua eccessiva golosità, le era stato proibito di fare. La seconda negò l’accusa, per cui l’altra che, avendo imparato ad adoperare il retinoscopio, sapeva cosa accadesse ai bugiardi, disse:
“Prenda il retinoscopio e lo scopra”

Seguii il suo suggerimento e, dirigendo la luce verso l’occhio dell’altra bambina, le chiesi:

“Sei andata da Huyler’s?”

“Si” fu la risposta, mentre il retinoscopio non indicava alcun errore di rifrazione.

“Hai preso un ice-cream soda?”

“No” disse la bimba, ma l’ombra rivelatrice si spostò nella direzione inversa rispetto al movimento dello specchio, svelando che era diventata miope e non stava dicendo la verità.

Quando le spiegai la cosa, la ragazzina arrossì e ammise che il retinoscopio non sbagliava: avendo già sentito parlare dei vari utilizzi dell’aggeggio misterioso, si preoccupava di cos’altro mai le avrebbe potuto fare, se non avesse aggiunto nulla più che la verità. In realtà, affermare quello che invece non corrisponde al vero richiede uno sforzo e questo sforzo si traduce sempre in un’alterazione della rifrazione normale dell’occhio. Questa verifica è così precisa che, se il soggetto, sia egli di vista normale o meno, mentre guarda una superficie vuota senza sforzarsi di vedere, pronuncia esattamente le iniziali del suo nome, non si produrrà alcun errore di rifrazione, ma, se sbaglia una sola iniziale, anche senza sforzo consapevole e nella piena convinzione di non stare ingannando nessuno, si determinerà uno stato miopico.

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CONSIGLI PER I PAZIENTI MIOPI

di Emily A. Bates

Al mattino, appena svegli e ancor prima di alzarvi dal letto, mettetevi seduti e fate del palming. La memoria aiuta. Mentre eseguite il palming, il ricordo di un fiore o del suo colore, del sole splendente dietro una nuvola bianca, del blu del cielo o di qualsiasi cosa piacevole che riuscite a ricordare benissimo, qualcosa che avete visto perfettamente, vi sarà d’aiuto. Se non siete in grado di ricordare nulla, potete immaginare una parte della tabella di controllo. Quando, ad occhi chiusi, immaginate alcune delle lettere della tabella e ne ricordate la forma, non cercate di fermarvi a lungo su una in particolare, perché ciò costituisce uno sforzo. Quando lascerete il letto, la vostra mente sarà rilassata.

Una volta in piedi, eseguite le oscillazioni. Battete sempre le palpebre mentre oscillate. Dopo le oscillazioni, passate a praticare il dondolio lungo, abbandonate la testa e gli occhi, lasciando che sia il vostro corpo a compiere il movimento. Non prestate attenzione agli oggetti fermi che sembrano muoversi mentre dondolate. Terminato il dondolio lungo, nel vestirvi, continuate a battere le palpebre, ma non fatelo rapidamente. Ad ogni chiusura delle palpebre, gli occhi si muovono dolcemente, riposandosi. Vi accorgerete che, fino a quel momento, stavate fissando lo sguardo.

Prima di recarvi al lavoro, se avete modo di utilizzare le tabelle di controllo, tanto meglio. Collocate la tabella con la “C” alla vostra destra, ad una distanza di poco superiore a quella del vostro braccio.

Mettete la tabella con lo sfondo nero alla vostra sinistra, sempre poco più distante della lunghezza di un braccio. Quindi posizionate la tabella numerica a sei piedi (mt 1,8) sulla sinistra e quella delle “E” orientate alla identica distanza alla vostra destra. Cominciate le oscillazioni. Non prestate attenzione a nulla, continuando a guardare semplicemente il muro davanti a voi.

Battete le palpebre e proseguite l’oscillazione. Osservate che tutte le tabelle sembrano muoversi in direzione inversa rispetto a quella del vostro corpo. Battete le palpebre. Non smettete di battere le palpebre, continuando a notare che le tabelle si muovono in senso contrario a quello dell’oscillazione. Non oscillate troppo rapidamente, prendetevela comoda. Il miglioramento della vista arriva senza sforzo. Quando gli oggetti diventano troppo sfocati, prestate attenzione al fatto che state fissando e avete trascurato di battere le palpebre.

Appena vi accorgete che le tabelle sembrano muoversi contrariamente al movimento del corpo, passate al dondolio lungo, gettando una rapida occhiata ad una lettera della tabella con la “C”, mentre vi girate verso destra, quindi ad una lettera su una riga della tabella a sfondo nero, mentre vi voltate a sinistra. Assicuratevi di stare muovendo il corpo e non solo il capo e gli occhi. Non dimenticate di battere le palpebre. Quindi proseguite il dondolio, adocchiate una cifra sulla tabella numerica alla vostra sinistra e poi, mentre dondolate verso destra, gettate un rapido sguardo ad una delle “E” orientate su una qualsiasi riga della rispettiva tabella. Giorno per giorno, verificate se vi riesce di leggere al volo una cifra più piccola, su una delle righe inferiori della tabella numerica, oppure una “E” rivolta a destra, a sinistra, in alto o in basso, su una delle righe più basse della tabella delle “E”.

Il miglioramento della vostra vista dipende esclusivamente dal tempo che dedicherete all’esecuzione dei metodi descritti. Se ci si può sottoporre al trattamento solare ad occhi chiusi, collocandosi in pieno sole, sollevate la testa e, per cinque minuti o più a lungo, lasciate che il sole brilli sulle palpebre chiuse, ciò vi sarà d’aiuto per migliorare la vista nell’eseguire poi il dondolio lungo.

Se il palming risulta tedioso, limitatevi a sedervi comodamente e a chiudere gli occhi, ricordando cose piacevoli per tutto il tempo durante il quale riposate gli occhi.

Intervallate l’allenamento in lontananza con le tabelle, sedendovi alla scrivania. Mentre scrivete, collocate sempre la tabella con lo sfondo nero a lato della scrivania e, dopo aver scritto una o due frasi, sollevate il capo e guardate su di essa una lettera che riuscite a vedere senza sforzarvi. Chiudere gli occhi, ricordando quella lettera, vi sarà d’aiuto. Scrivete qualche altra frase e, dopo aver sollevato il capo verso le lettere, gettate nuovamente uno sguardo alla tabella, senza cercare di vedere con accanimento una lettera in particolare.

Quando non adoperate le tabelle di controllo grandi, collocatene, se è possibile, due piccole sul davanzale della finestra e, mentre dondolate, passate con lo sguardo dall’una all’altra.

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AVVISI

Siamo venuti a conoscenza che gruppi di persone, senza alcuna relazione con il dott. Bates, hanno intenzione di pubblicare un periodico dal titolo “Better Eyesight”. Vogliamo precisare che qualunque utilizzo di questo titolo non è autorizzato dal dott. Bates o dalla casa editrice Central Fixation e qualsiasi rivista così denominata, ad eccezione della presente, non è pubblicata nell’interesse del Metodo Bates. Il titolo “Better Eyesight” è protetto da usi illegali.

Da luglio in poi, si dovrà aumentare il prezzo dei volumi rilegati delle annate di “Better Eyesight”. Il prezzo attuale è di 3 dollari al volume e cominciano dall’annata 1923. Essi raccolgono molte informazioni preziose e vorremmo suggerire ai lettori di procurarsi il volume, o i volumi desiderati, prima del loro rincaro.

Desideriamo informare i sottoscrittori dell’abbonamento alla nostra rivista che la pubblicazione di “Better Eyesight” cesserà dopo il numero di Giugno 1930, per consentire al dottor Bates e alla signora Bates di dedicare più tempo alla stesura di un nuovo libro, che illustri esclusivamente la terapia, per il quale, durante lo scorso anno, c’è stata una grandissima richiesta. Comunque, continueranno ad accettarsi ordini d’acquisto per le prossime restanti uscite. Preghiamo tutti coloro che gradiscano essere avvisati della pubblicazione di nuovi libri, di inviarci cortesemente il proprio recapito, che verrà incluso nel nostro archivio.

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Il dottor W.H.Bates
La prevenzione nelle scuole